lunedì 27 settembre 2021

Il processo di Novara - Stephan Schmidheiny un Giano bifronte dalla responsabilità storica indiscutibile - di Alberto Gaino


Trecento e novantadue vittime. Solo di una quarantina i familiari hanno optato per la costituzione di parte civile nel processo novarese contro Stephan Schmidheiny. E’ un segnale di sfiducia nella giustizia che non può essere ignorato. Ma delle transazioni fra parenti delle vittime e i rappresentanti del magnate svizzero (30 mila euro corrisposti ad ogni famiglia, come “liberalità” in cambio di una rinuncia tombale ad ogni attività giudiziaria “contro”) va segnalato anche un altro aspetto: la scelta di ritirare da alcuni anni a questa parte, non appena si sono abbassate le luci del circo mediatico, l’offerta extra
  di 20 mila euro a testa finalizzati alla ricerca scientifica per mettere a punto una cura per il mesotelioma maligno. 

Il re è nudo, una volta di più. Per un uomo ricchissimo come Schmidheiny la scelta di risparmiare alcuni milioni di euro finalizzati alla ricerca scientifica è stato un atto passato sotto traccia ma che ne svela la personalità: di chi sente al di sopra delle vite degli altri, incluse quelle dipese dalle sue decisioni industriali.

La grande informazione ha lasciato cadere l’interesse per questo nuovo processo che si celebra per un capo di imputazione che non pochi opinionisti ritengono scandaloso ma non osano affermarlo apertamente: omicidio doloso, sia pure sotto il profilo del dolo eventuale. L’azionista di riferimento Eternit sapeva che  l’amianto era cancerogeno, non voleva far morire nessuno, ma rimase indifferente a quella prospettiva perché, prima delle vite degli altri, veniva la produzione di  tubazioni, onduline, manufatti di cemento e amianto. L’esatto profilo del dolo eventuale.

Dopo aver assunto la direzione della multinazionale e la sua gestione, Schmidheiny convocò (giugno 1976) a Neuss, in Germania, presso un laboratorio scientifico al servizio dei suoi interessi, una trentina di super manager Eternit provenienti da tutto il mondo, per rivelare loro la cancerogenicità dell’amianto ma che si doveva, ad ogni obiezione, rispondere il contrario e andare avanti con la produzione. Ne ho scritto in due libri (Falsi di stampa, Edizioni Gruppo Abele, 2014, di cui circola solo più la versione online, e Il silenzio dell’amianto, Rosenberg & Sellier, 2021) perché la documentazione di quel meeting dimostra inequivocabilmente la volontà di Schmidheiny di proseguire con un progetto industriale largamente nocivo per la salute pubblica, incluso l’utilizzo della crocidolite, l’amianto blu, il più pericoloso, sino al 1986 quando Eternit Italia portò i libri in tribunale per chiedere il fallimento in proprio ed evitare le grane delle bonifiche  e dei suoi altissimi costi. A livello internazionale il marchio Eternit stava diventando negativo..

Lo stabilimento del Ronzone fu lasciato così com’era: imbottito d’amianto.

In tribunale a Torino, nel corso del precedente processo per disastro doloso, Thomas Schmidheiny, fratello di Stephan e pure lui con un patrimonio netto di 4,6 miliardi di dollari (fonte la rivista Forbes), rivelò che a tavola, in famiglia, “Ma non quando era presente la mamma”, si parlava con preoccupazione dei rischi per la salute cagionati dall’amianto e che il fratello ne era visibilmente colpito. Ma, come dimostrano sia la documentazione sul meeting di Neuss sia le successive scelte disinformative approvate da Stephan (il manuale Ausl 76,  ad esempio, che insisteva sulla non pericolosità del minerale), quelle preoccupazioni non impedirono a Stephan Schmidheiny di tirare diritto, incurante di tutto ciò che poteva accadere ed è puntualmente accaduto.

Altro che guru dello sviluppo ecosostenibile, Stephan Schmidheiny è stato un Giano bifronte dalla responsabilità storica (almeno) indiscutibile e avrebbe dovuto porre mano al proprio patrimonio per offrire alla vittime dell’amianto una giustizia riparativa di ben altre dimensioni e accompagnate da parole significative per la comunità dei lavoratori Eternit, dei loro familiari, dei cittadini di Casale Monferrato, oltre che di quelli di Bagnoli (Napoli) e degli altri stabilimenti italiani della sua multinazionale. 

La scelta di investire sulla ricerca scientifica sul mesotelioma maligno sarebbe stato un passo importante.

Schmidheiny conta  sulla giurisdizione italiana che, dal 2010, per iniziativa della Quarta sezione penale della Cassazione (relatore Blaiotta), esige prove granitiche, contro responsabili individuali, sulla base dell’accertamento della formazione della prima cellula cancerogena in un tempo definito (impossibile) che il giurista Luca Masera, voce fuori dal coro dei professori di diritto penale, ha bollato come probatio diabolica.  Ossia: responsabilità indimostrabili. Un noto avvocato mi disse un giorno che Blaiotta era ed è considerato un garantista. Gli risposi che la sua giurisprudenza è stata a senso unico (adesso è in pensione ma il suo teorema resiste): garantista per gli imputati di crimini d’impresa. E per le vittime di quei crimini? Attenzione zero. E zero equilibrio giuridico.

Il perno di quella giurisprudenza è la responsabilità penale individuale. Con la relativa cancellazione dell’istituto del concorso di più soggetti nel reato. Che però rimane valido per tutti gli altri reati. Nel caso specifico di Schmidheiny in questo processo il teorema Blaiotta si traduce nella difficoltà di ascrivere all’imputato svizzero tutta l’esposizione all’amianto sia in fabbrica sia in città, attraverso la distribuzione del polverino alla popolazione per incoraggiare la convinzione che l’amianto e i suoi scarti di lavorazione non fossero pericolosi per la salute delle persone. Una tale difficoltà è dovuta al tempo davvero lungo di esposizione che ha caratterizzato l’esistenza di tante persone, poi vittime dell’amianto. E a causa del manifestarsi del mesotelioma nei loro corpi a parecchi decenni di distanza dalle prime esposizioni.

La ricerca scientifica, ancorché resa complicata da fattori tuttora sconosciuti della malattia, è stata messa in dubbio in tribunali e convegni da professori consulenti di impresa.  Il dubbio, per la giustizia, è sempre pro reo. Ecco dove si vuole arrivare.

Ma la pubblica accusa ha molte carte da spendere, non solo nella considerazione che i crimini di impresa possono avere espresso una loro continuità passando da una gestione ad un’altra. Li ha pure rispetto all’architettura giuridica ideata da Blaiotta considerando i casi delle ultime vittime in ordine cronologico. Per questo la difesa di Schmidheiny attuerà una strategia finalizzata a far durare più tempo possibile questo processo. Puntando , in alternativa all’assoluzione, sul profilo colposo di queste morti che farebbe scattare il meccanismo della prescrizione del reato per tanti casi. Cento testimoni da ascoltare in aula fanno parte di questa strategia.

Ad Avellino, negli anni 80, si eliminava l’amianto dalla carrozze ferroviarie con un appalto dato ad un imprenditore locale da Ferrovie dello Stato, che avevano l’obbligo di sorvegliare il rispetto della salute dei lavoratori. Le condizioni in cui si operava all’Isochimica erano bestiali. A distanza di quasi quarant’anni sono già morti a causa dell’esposizione all’amianto più di trenta operai, che allora erano appena dei ragazzi. Il procedimento giudiziario è iniziato 13 anni fa. Il processo di primo grado è ancora in attesa di una sentenza che, se arrivasse dopo la prescrizione dei reati colposi contestati, consentirebbe a Rete Ferroviaria Italiana (erede di Ferrovie dello Stato) di non pagare i risarcimenti per i familiari delle vittime prevedibilmente molto onerosi per la società controllata dallo Stato. Questa brutta storia deve essere di monito.

(Alberto Gaino)